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Sala 11 - Cappella dell’Ascensione

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Sala 11 - Cappella dell’Ascensione

I lavori della Cappella dell’Ascensione sono portati a termine nel 1791, sotto la direzione del pittore Carlo Brunelli e di suo fratello, lo scultore Angelo Maria Brunelli. La Cappella è inaugurata ufficialmente nel 1792, con una cerimonia officiata dal sacerdote aversano Don Tommaso Calzarano, alla presenza di Ferdinando IV di Borbone; rimane in uso fino al 1936.

Nel primo dei due piani dell’edificio sono ricavate due tribune, realizzate per consentire ai sovrani di assistere comodamente alla celebrazione della messa. Da questa prospettiva, era possibile ammirare meglio l’elegante cupola con rosoni in stucco e la volta con affreschi a monocromo del fiorentino Carlo Brunelli. Il pittore, oltre ad aver curato la realizzazione della pala d’altare, l’Ascensione, si occupa anche delle figure a chiaroscuro presenti nelle lunette della tribuna: il Padre Eterno con Angeli; le Allegorie dell’Eternità, della Giustizia, della Sapienza e della Misericordia; la Natività e la Fuga in Egitto.

La tela raffigurante l’Ascensione viene dipinta nel 1788, ma consegnata solamente nel 1794 insieme ad altre due opere scomparse negli anni Ottanta del Novecento, di cui resta solamente la documentazione fotografica. Riguardo queste ultime è noto che la prima raffigurava San Vito, protettore delle attività agricole; la seconda raffigurava il protettore della caccia, Sant’Uberto (o Sant’Eustachio), ed era stata ispirata dalla Conversione di Sant’Uberto realizzata nel 1768, da Vittorio Amedeo Rapous, per l’anticappella dell’Appartamento del re nella Palazzina di Stupinigi.

In generale, si evince come la pala d’altare dedicata all’Ascensione costituisca il fulcro dell’intero progetto della sala: una scelta volta, probabilmente, ad assecondare i gusti del sovrano. È proprio Ferdinando IV, infatti, a istituire la Festa dell’Ascensione appositamente per il Real Sito di Carditello. Durante questa ricorrenza, come riportato dal poeta, drammaturgo e saggista Salvatore di Giacomo, venivano organizzate «corse di barbari, cavalli e giumente e la gente vi accorreva numerosa». I preparativi iniziavano con largo anticipo e, per incentivare la partecipazione alle corse – che avevano in palio un premio in denaro – già agli inizi di maggio veniva affisso un ingente numero di manifesti in tutte le province di Terra di Lavoro. Durante la festa, a cui prendeva parte anche la famiglia reale – della cui sicurezza si occupava la guardia di fanteria – venivano adornati persino i circuiti; i cancelli erano decorati con tele colorate e, lungo lo steccato, venivano fissati picchetti, corde e tele per dividere la pista dal tempio, e per impedire che il pubblico la invadesse. Le torri, infine, fungevano da luoghi di ristoro e venivano allestiti, oltre a una trattoria, numerosi locali presso cui gli artigiani potevano vendere prodotti come caffè, pane, liquori e gelati. 


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